giovedì 12 marzo 2015

Oro rosso


Ripensando al film mi è tornato alla mente il finale de ‘il sapore della ciliegia’. Là il regista era Abbas Kiarostami che di ‘Oro rosso’ è lo sceneggiatore. Ma la associazione non derivava da questo, quanto dal motorino che nel finale di quel film meraviglioso percorreva la strada alberata. L’ambientazione è molto diversa ma il motorino mi ha portato a collegare questi due film peraltro legati anche dal suicidio finale (perché di suicidio bisognerebbe parlare anche a proposito di ‘oro rosso’).

Sì perché a ben pensarci il motorino è il protagonista assoluto del film di Panahi. Raccogliendo un po’ di dati: è il mezzo attraverso il quale il protagonista si guadagna da vivere, sia legalmente quando con esso porta le pizze da asporto, sia illegalmente quando lo usa per scippare; è il mezzo sul quale parla con gli amici o con la propria futura moglie; è il mezzo con il quale va a fare il colpo che porterà poi al finale. Inoltre il protagonista bada al suo motorino come se fosse il suo grande capitale (la paura che glielo rubino), è su un motorino che un suo collega con il quale poco prima aveva parlato, fa un incidente molto grave. Insomma questo motorino, come  e molto più di un buon cavallo per un cow boy è elemento chiave della vita del protagonista, dai rapporti sociali, al lavoro, agli affetti. Da notare che la centralità di questo elemento viene fuori con una splendida evidenza filmica nella scena finale, quando se ne sta bene in vista parcheggiato dall’altra parte della strada ad attendere il suo padrone nel negozio-carcere ormai in trappola.
Ma cos’è un motorino? In prima battuta anche vedendo tutte le notazioni raccolte sopra non è altro che un mezzo di trasporto che nel caso specifico diviene pure mezzo di lavoro. Come mezzo di trasporto dovrebbe portare da casa al luogo di lavoro, dal luogo di lavoro ai luoghi di intrattenimento ed ancora a casa. Dovrebbe collegare luoghi, dovrebbe essere elemento di passaggio, per definizione non centrale. Ma in questo film il motorino non porta a nessuna casa propria (o meglio porta anche ad una casa propria, ma ad una casa talmente estranea che quando ci si corica sul letto lo si fa vestiti, come se si fosse in casa d’altri, estranei), porta solo in giro per la città, da una casa altrui ad un’altra casa altrui, e nel tempo e nello spazio che sta in mezzo c’è solo un viaggiare fra il traffico di Teheran ed in questo viaggiare il motorino è come se si trasformasse in una strana casa mobile, dove succedono cose, dove si parla, si fuma, si vede l’ingiustizia della società, ma il tutto sempre in movimento, senza fissa dimora, senza centro. Penso al paravento nero montato sul motorino che fa apparire l'insieme come un piccolo rifugio senza pareti, un piccolo luogo perso nella città. Penso al finale con la prigione scura del negozio ed il motorino là fuori come un cavallo che perde il suo padrone e non si sa che fine mai farà.
Il motorino, la case altrui abitate da gente che si conosce sol fugacemente, i rapporti con gli amici per strada sulla scomodità di un sellino, in mezzo al traffico di una Teheran infestata da migliaia di altri motorini e macchine, tutto questo da al film un senso di incredibile estraneità, un senso di sradicamento lancinante. Se a questo si aggiunge poi l'espressione del protagonista, sconfitta sì, ma non desolata, caratterizzata anche essa da una estraneità, come se fosse altrove, non pienamente presente. Penso alla scena che precede il finale con il vagare nella casa del ricco emigrato americano, a caso, fuori posto, eppure impassibile.
Al di là dei significati politici e sociali del film, è questa atmosfera scentrata del film ad avermi colpito.

sabato 14 febbraio 2015

A proposito di 'La vie d'Adele'

https://www.youtube.com/watch?v=msjqGYIiWCA


Ho scritto quanto segue qualche giorno dopo avere visto il film di Kechiche 'La vie d'Adele' (o 'Blue is the warmest color'). Le immagini di esso hanno avuto quindi il tempo di lavorare nella mia memoria, di innestarsi con altre immagini e di essere travisate. Per questo quanto segue potrebbe non essere fedele al film, ma di certo è una interpretazione mia.


La vita di adele è un film molto bello. Lo è per il suo respiro lungo, il rispetto e l’adesione puntuale alla vita della protagonista. Lo è perché, dopo un piccolo sbandamento laddove si ha il confronto un po’ troppo schematico con i compagni di scuola, evita di soffermarsi e dire banalità sui luoghi classici di storie che trattano questo tipo di tematiche, in particolare il confronto con i genitori. Molto bello per la rappresentazione delle scene di sesso, cariche di un’intensità resa ancora più marcata dall’ancorarsi dei copri l’uno all’altro, dall’incastro quasi geometrico nella loro perfetta aderenza (non sarebbe stato lo stesso se ad essere rappresentato fosse stato il rapporto fra un uomo e donna, a causa della violenza insita nella penetrazione). Dietro a questi corpi che si immergono l’uno nell’altro c’è un’attrazione assoluta, una forza invisibile permea di sè tutto il film, una forza tale che quando i due corpi si allontanano l’uno dall’altro prende le forme di in un’angoscia totale, dalla quale non si può uscire e costringe a gravitare attorno al corpo dell’amata, a vuoto e senza speranza.
Ma allora perché questa distanza, perché il rapporto finisce? C’è una scena molto indicativa da questo punto di vista, ed è quella della festa della compagna di Adele, insieme agli amici artisti e bohemienne di lei, con Adele che freneticamente vuole rendersi utile, vuole fare qualcosa, e in questo modo si appiattisce al ruolo tradizionale della donna nume del focolare, quella donna che mentre il marito giostra nel mondo si prende cura della casa, accudisce i figli, fa lavatrici e cose buone da mangiare in onore di Lui. Questo è il punto focale e nello stesso tempo scentrato della storia, che Adele è nella vita di tutti i giorni una ragazza media, una ragazza come tante che presto andranno in sposa ad un bravo ragazzo medio come lei, è una a cui piacciono i bambini, fare da mangiare, perché no, ballare i balli latino-americani. E’ questa sua normalità a creare uno stacco fortissimo con la passione tutta carnale che la lega alla sua compagna d’amore. Esiste una lancinante distanza tra le due Adele, ed è proprio questa lancinante distanza a spezzare il film in due parti che non si collegano più. Da questo punto di vista il fatto che l’amore rappresentato sia un amore lesbico, non ha alcuna influenza, Emma avrebbe potuto essere un giovane artista uomo senza spostare di una virgola il significato e l’intensità dell’opera. Questo conferma che il film non è una storia sul lesbismo e che esso non vuole affatto ergersi a dare una interpretazione dell’amore omosessuale, delle difficoltà e delle bellezze che gli sono proprio, assolutamente no. L’amore lesbico è un’amore come tutti gli altri, è un fatto della vita che un autore può prendere ed applicare ai suoi personaggi, come qualsiasi altro, senza differenze, senza scandali, senza significati reconditi.